Cosa significa Il Giubileo nella sua accezzione tradizionale ? Una storia non solo spirituale ma anche socio-econmica.
Tratto da
Etimologicamente, giubileo deriva da yobel, parola ebraica che significa «corno del capro».
Fin da subito è stato associato alla musica — un corno, una
cornetta, una tromba — e successivamente al canto. Il corno discende dal
cornu del pastore; la tromba e la trombetta dalla buccina
del soldato romano; questi corni sono strumenti di incontro e di
militanza. Nelle Indie occidentali e nelle isole dei Mari del Sud la
conchiglia a spirale emette un suono molto esteso. Era usata dai Tritoni
dell’antica mitologia, e dagli schiavi haitiani il 21 agosto 1791 come
richiamo alla guerra di liberazione nella prima vittoriosa rivolta di
schiavi della storia moderna. La prima cosa a proposito del giubileo,
quindi, è che si ascolta.
«Il dieci del settimo mese, farai echeggiare un suon di tromba. È
il giorno dell’espiazione e in quello farete udir la tromba per tutto il
vostro paese. Voi santificherete il cinquantesimo anno e proclamerete
la libertà nel paese per tutti i suoi abitanti». (Levitico 25:9-10)
La seconda cosa da dire è che il giubileo è in uso da lungo tempo.
Lo si può trovare spiegato nell’Antico Testamento, soprattutto nel
Levitico 25 ma anche altrove.
Esso comprende sette idee.Primo, avviene ogni cinquant’anni.Secondo, promette la restituzione della terra («i beni venduti rimangano, fino all’anno del Giubileo, in possesso del compratore; nel giubileo, questi ne esca e l’altro rientri nel suo possesso», 25:28).Terzo, il giubileo esige la cancellazione dei debiti.Quarto, libera gli schiavi e i servitori vincolati («Qualora un tuo fratello si fosse con te indebitato e si fosse venduto a te, non gl’imporre delle fatiche da schiavo», 25:39).Quinto, il giubileo è un anno di maggese («sarà un anno di totale riposo per la terra», 25:5).Sesto, è un anno senza lavoro («non seminerete, e non mieterete quello che è nato da sé e non vendemmierete le viti che non sono state potate: è il giubileo, anno sacro per voi», 25:11-12).Settimo, il giubileo esprime la sovranità divina («la terra è mia e voi siete presso di me soltanto come forestieri e ospiti», 25:23).
Un parere prevalente è che il giubileo fosse uno stratagemma antiaccumulazione, simile al potlatch
o al carnevale, che in realtà ha mantenuto l’accumulazione. Ponendo
restrizioni sul debito, la schiavitù e la proprietà fondiaria, il
giubileo ha rafforzato un sistema sociale basato sul denaro, il credito e
lo sfruttamento. Era il freno che faceva funzionare il motore.
Scrivendo su Israel Law Review, Westbrook afferma che il
giubileo riassume le leggi di liberazione dei prigionieri e dagli
impegni, oltre alla legge del maggese, comuni ai sumeri, ai babilonesi e
agli israeliti. Si trattava di una normale valvola di sicurezza legale e
agraria dei tempi antichi. Questo riduce la giustizia all’opinione dei
giudici. La virtù liberatoria che è l’essenza del giubileo diventa il
legalismo prestidigitatorio contro cui metteva in guardia José Miranda,
teologo messicano della liberazione, quando analizzava il significato
della parola ebraica mispat, che significa giustizia o virtù.
Miranda avrebbe compreso la critica dei detenuti americani che dicono
«nelle aule di giustizia la sola giustizia è nelle aule». La teofania
dell’Antico Testamento deriva solo ed esclusivamente dal vocabolo mispat, a sua volta derivato dal grido dell’oppresso — sa’aq/za’aq — un grido distante dal «giusti noi!» delle cricche dirigenti.
Per esaminare il testo biblico sul Giubileo dobbiamo conoscere
qualcosa dell’antica storia ebraica. Tuttavia, prima di immergerci in
questo, intoniamo un canto. In Inghilterra il motivo suggerito è «Dio
salvi il Re», in America il titolo è «America».
Hark! come il suono della tromba / proclama alla terra attorno / Il Giubileo! / Dite a tutti i poveri oppressi / Non devono più essere vessati / Né i padroni molestare / La loro proprietà (...) Da ora in poi questo Giubileo / Mette tutti in Libertà / Lasciateci essere felici / Visto che ogni uomo è ritornato / al suo possesso / Non più come fannullone da compiangere / dalla tristezza dei padroni!
Si tratta de «L’Inno del Giubileo; ovvero, una canzone da cantare
all’inizio del Millennio, se non prima». È stata composta nel 1782 da
Thomas Spence, «il non nutrito avvocato del diseredato seme di Adamo».
Le sue origini sono oscure. Potrebbe essere stata scritta dal
compositore elisabettiano dottor John Bull, oppure potrebbe essere stata
in origine un canto tedesco dei bevitori di birra. Diventò l’inno
nazionale britannico nel 1745, l’anno della conquista della Scozia
giacobita, combinando la paura della sconfitta col fervore della
conquista, emozioni espresse anche dal suo ritmo gagliardo.
Il motivo è piaciuto sia in alto che in basso. I soldati francesi,
americani, inglesi e tedeschi lo cantavano in battaglia durante la prima
guerra mondiale, ognuno con parole differenti naturalmente. Handel lo
usò, come pure Beethoven. Anche Weber lo usò nella sua Ouverture of Jubilation
(1818), composta per il cinquantesimo anniversario dell’ascesa del re
di Sassonia. Non è certo che egli abbia sentito la canzone di Spence.
Ritengo che si possano distinguere tre tradizioni del giubileo nella
storia moderna: un giubileo aristocratico (in Vaticano c’è una “porta
del giubileo”; i monarchi hanno un giubileo tutto per loro se durano
almeno cinquant’anni), un giubileo borghese (che considereremo fra
breve) e un giubileo proletario (a cui penso che Spence abbia dato vita
in tempi recenti).
La storia del giubileo è cominciata nel XIII secolo a.C. quando, si
ipotizza, Mosé condusse gli schiavi fuori dall’Egitto. Trecento anni
dopo, Salomone e Saul formarono la monarchia d’Israele. Quattrocento
anni dopo questo, nel 587, Gerusalemme venne distrutta e gli ebrei
furono fatti prigionieri dai babilonesi. Essi ritornarono alla fine del
VI secolo che dà inizio al periodo del post-esilio, quando i preti
tentarono di riunire ancora i pezzi collezionando, diffondendo e
copiando numerose canzoni, leggi, pratiche rituali, tradizioni e memorie
orali. La Torah, o “Legge di Mosé” — i primi cinque libri dell’Antico Testamento — furono il risultato.
Essi incorporarono diverse tradizioni d’autore (J, E, D e P). José Miranda distingue due tendenze politiche all’interno di queste tradizioni: la tendenza “esodica”, libertaria, o Kadesh,
e la tendenza legale, convenzionale, o sinaitica. La prima si riferisce
al periodo rivoluzionario; la seconda si riferisce alla
controrivoluzione sociopolitica sotto la monarchia. In quanto parte di P,
o del Codice sacerdotale, il Levitico è stato scritto durante l’era
post-esiliare, quando Israele si trovava sotto il dominio persiano. Il
Levitico sottolinea l’unicità e la vetustà delle regole e dei costumi
israelitici, e generalmente cade sotto la tendenza sinaitica. Nel 1877
Klostermann identificò un distinto “Codice di santità” all’interno di P. Esso comincia col capitolo 25, ed è parte della tendenza Kadesh.
Il capitolo 25 rappresenta una memoria non del periodo della monarchia
ma di quello rivoluzionario precedente. Quindi, il Levitico 25 è lo
spostamento condensato in un codice legislativo di una esperienza
egualitaria precedente di cinquecento anni. Può essere utile paragonarlo
alla Carta dei Diritti, in parte originata dai periodi rivoluzionari,
che altrimenti sarebbero stati completamente cancellati dalla
Costituzione degli Stati Uniti di padroni, mercanti e schiavisti.
Sotto la monarchia ebbe luogo la differenziazione di classe. Era
questo il periodo della denuncia profetica, la collera di Isaia, le
lamentazioni di Geremia, il disprezzo di Ezechiele. Durante questo
periodo il giubileo era stato espresso come parte di una poetica
visionaria di denuncia, quando i profeti cercarono di risvegliare la
gente dal loro torpore verso la superbia e l’idolatria dei loro
governanti.
Le loro denunce vennero scritte nell’VIII secolo, due o tre
secoli prima del Levitico, quindi più vicino all’esperienza della
liberazione del XIII secolo. Isaia denuncia i padroni e gli affaristi
latifondisti che spopolano la terra: «Guai a quelli che aggiungono casa a
casa, e uniscono campo a campo, sino ad occupare ogni spazio e
diventano i soli proprietari nel centro del paese» (5:8).
Michea s’identifica con i senza terra e riferisce di un’assemblea
di distribuzione della terra: «Guai a coloro che meditano cose inique, e
preparano il male nei loro letti: lo mettono in esecuzione appena
spunta il mattino, perché hanno la forza in mano. Essi bramano i campi e
li usurpano, le case, e se le prendono; fanno violenza all’uomo e alla
sua casa, al proprietario e al suo possesso» (2:1-2). «Siamo spogliati
di tutto! La parte del mio popolo è venduta, e più nessuno la
restituisce! Fra i ribelli son divisi i nostri campi! Per questo, tu non
avrai nessuno che misuri con la corda le porzioni nell’adunanza del
Signore» (2:4-5).
Ma come ha potuto una poetica visionaria diventare un codice
legislativo? Venne fatto una specie di accordo di classe, ci fu cioè un
risveglio della classe dei preti e dei padroni nei confronti degli
spossessati, dei debitori e degli schiavi, la cui cooperazione contro il
dominio persiano venne ricercata attraverso l’accettazione della
possibilità pratica del giubileo, almeno da parte dei preti e degli
scribi che avevano messo assieme la Bibbia.
Com’era il periodo precedente? È importante non considerarlo in
termini etici; questo è un contributo indubbio e saliente della dottrina
recente.
Il termine “Ebreo” deriva da ‘apiru dalla lingua egizia; è
un epiteto peggiorativo che indica un fuorilegge, un insubordinato, un
oppositore all’imperialismo egiziano. La gente sopravviveva grazie
all’agricoltura pluviale (grano, olio, vino) e ad un’economia pastorale
(greggi bovine, pecore e capre). Attrezzi di ferro negli altipiani di
Canaan, terrapieni di roccia, intonaci di calce spenta per cisterne
d’acqua, sono alcuni dei cambiamenti tecnologici della fine del XIV
secolo che disturbarono le strutture sociali e il sistema di spartizione
delle terre. La produttività della terra e la conservazione del surplus
permisero lo sviluppo indigeno delle classi e la formazione di piccole
città-Stato.
Gli studiosi avevano proposto tre modelli per la colonizzazione di
Canaan: 1) il modello più antico e familiare dell’invasione, 2) il
modello dell’immigrazione e dell’infiltrazione che Alt suggerì nel 1925,
3) il modello della rivolta interna proposto per la prima volta da
Mendenhall nel 1962. Scrive Norman Gottwald: «in precedenza Israele era
una eclettica formazione di popolazioni canaanite marginali e povere,
fra cui contadini “feudalizzati”, ‘apiru mercenari e
avventurieri, pastori transumanti, coltivatori organizzati tribalmente e
nomadi pastori, e probabilmente anche artigiani ambulanti e preti
scontenti». I soliti sospettati, in altre parole. Egli conclude, «una
classe in sé, fin qui una congerie di segmenti separati in lotta della popolazione, è diventata una classe per sé»
— Israele. La prima letteratura di Israele, quindi, dava voce alla
coscienza rivoluzionaria delle sottoclassi canaanite. Invero, la
primissima letteratura di Israele era una “bassa” letteratura sia come
origini che come argomenti.
Il punto è fondamentale e incide su tutto il seguito. La teologia
della liberazione richiede un riassestamento della religione cristiana e
di quella ebraica. José Miranda fornisce un esempio conciso. La parola
ebraica sedakah significa «giustizia». Eppure, sin dal sesto
secolo d. C. è stata tradotta con «elemosina» o «carità». La differenza
fra giustizia e carità è la medesima che sussiste fra uguaglianza e
oppressione, essendo la carità un rapporto tra non uguali laddove la
giustizia è un rapporto fra uguali. Sono passati quattordici secoli da
quando la cattiva traduzione di una singola parola ha aiutato a
perpetuare la condiscendente ed ipocrita pietà delle classi dominanti
che rubano le vostre sigarette mentre vi aiutano a reperirle invitandovi
a non farne uso.
Il linguaggio del giubileo non è né di perseveranza legale né di
propositi didattici. Esso è «un atto linguistico che continua ad avere
una pericolosa forza in ogni genere di contesto che non sia né
legislativo né didattico» — come sostiene Sharon Ringe. Il suo
significato è spiegato attraverso l’esperienza e le lotte degli
oppressi. Il suo argomento accende Isaia. «Lo spirito del Signore Dio è
su di me, poiché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha
mandato per portare la buona novella ai poveri, a curare i cuori
stanchi, ad annunziare la libertà agli schiavi, la liberazione ai
prigionieri, a proclamare l’anno di grazia del Signore e un giorno di
vendetta per il nostro Dio; a consolare tutti gli afflitti» (61:1-2).
«L’anno di grazia del Signore» — concordano tutti i commentatori — è
il Giubileo. È chiaro da questo passaggio che il giubileo non è un
accordo socialdemocratico di leggi per preservare un sistema di scambio
di merci contro la rivolta periodica. Isaia ha allargato il significato
del giubileo dalla manovra di miglioramento del Levitico al giorno di
vendetta a favore degli afflitti, dei prigionieri, dei cuori stanchi,
degli schiavi. Isaia parla con una classe sconfitta. La classe non
elemosina più riforme; chiede giustizia.
Le parole di Isaia furono le prime di Gesù. Quando Gesù ritornò a
Nazareth e iniziò a predicare, aprì il rotolo di pergamena del profeta
Isaia nella sinagoga e proclamò «l’accettabile anno del Signore». La
Bibbia di Ginevra del 1560 annotò a margine della prima predica di Gesù:
«egli allude all’anno del Giubileo, che è menzionato nella Legge, per
mezzo del quale questa grande liberazione è stata raffigurata». Poi egli
aggiunge «oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete udita coi
vostri orecchi». Questa è la chiave. Non è una questione di
interpretazione, ma un argomento di azione. La eschaton non è del futuro; è presente. Adesso. È stata proclamata. Gesù era la tromba. Ecco perché cercarono di lanciarlo da una rupe.
Così passiamo dalla Legge (Levitico), alla Poetica (Isaia), alla
Realizzazione (Luca). La liberazione del giubileo è tenuta a mente:
remissione dei debiti, liberazione dei prigionieri, niente lavoro,
sovranità divina. Tuttavia qualcosa viene persa in questa progressione:
letteralmente, la base materiale. Non viene detto nulla della terra. Che
rappresenti una sconfitta, sostituire la chiacchiera del paradiso in
cielo con la camminata sulla terra confiscata? Se così è, si tratta
forse di un riflesso delle basi urbane del primo cristianesimo, che dopo
secoli di vita cittadina non credeva nella preghiera a favore della
restituzione della terra? Gesù conosceva lo sfruttamento proletario.
«Gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi», conclude una parabola a
proposito della registrazione dei salari ai contadini. Queste sono anche
le parole usate da Nat Turner nella grande rivolta della Contea di
Southampton, Virginia, nel 1831: «Devo sollevare e preparare me stesso, e
ammazzare i miei nemici con le loro stesse armi... perché si sta
avvicinando in fretta il periodo in cui i primi devono essere gli ultimi
e gli ultimi devono essere i primi».
L’ermeneutica del giubileo non si limita all’antichità.
L’esperienza della classe lavoratrice nei confronti del giubileo è più
prossima al traguardo di quanto non lo siano stati le parole e i fatti
del figlio illegittimo di un falegname alla periferia dell’Impero romano
duemila anni fa. Nella resistenza della classe lavoratrice alla storia
della crudeltà possiamo trovare sia una scrittura che un’ermeneutica.
Nel 1834 The Southern Rosebud pubblicò la descrizione di
un bambino afroamericano che intonava: «Non sentite la tromba del Gospel
suonare il Giubileo?». Questo è il primo esempio che ho trovato
sull’uso del giubileo nella storia pubblica afroamericana. Senza dubbio,
ci sono riferimenti precedenti. Eppure ci conviene prendere il 1834
come nostro punto di partenza approssimativo. «Non sentite la tromba del
Gospel suonare il Giubileo?», cantava la piccola voce. A rischio
d’essere un tantino monotoni, dobbiamo sottolineare tre elementi: primo,
nella domanda c’è un invito all’azione. Ci chiede di ascoltare. I
bambini vogliono essere ascoltati. La tromba indica una proclamazione,
un richiamo. Secondo, il giubileo viene compreso senza ulteriori
spiegazioni. L’ambiguità dei suoi significati (debiti, terra, libertà,
niente lavoro) era necessariamente politica nel sud schiavista durante
gli immediati postumi della ribellione di Nat Turner. Si presumeva che
gli ascoltatori sapessero cosa il giubileo volesse dire. Terzo, la
“buona notizia” proclamata dal Gospel collega l’antico ed il nuovo
Testamento. La buona notizia viene proclamata adesso. Adesso è il
momento. Non è questione del tempo che si è compiuto, o di oggettive
circostanze che sono pronte; la tromba ha suonato. È la voce di
Ezechiele (7:14): «Suonate pure la tromba e sia per tutto pronto, ma
nessuno si farà avanti a combattere».
Naturalmente il giubileo è realista, e naturalmente la classe
dominante in tutti i periodi ha affermato il contrario. Ad esempio, The Interpreter’s Bible
(1953) trova «quasi impossibile credere che le leggi [del giubileo]...
fossero strettamente osservate o anche che lo potessero essere. Siamo di
fronte a un costume ri-edito alla luce di un ideale». Gli archivisti di
utopie devono negare ogni alternativa. Eppure, la proprietà privata,
individuale, della terra è un fenomeno recente. Le staccionate, le
siepi, le sbarre divisorie, i muri di pietra, il filo spinato, i
cartelli “non oltrepassare” e “tenersi alla larga” sono innovazioni
capitaliste del meum et tuum. Prima di queste l’agricoltura veniva svolta in campi aperti e i più poveri avevano diritti comuni.
L’accumulazione originale del capitale in Inghilterra fu il
risultato della recinzione della terra, del commercio e delle conquiste
imperiali. La terre comuni diventarono proprietà privata attraverso
l’erezione di staccionate e siepi. «La forma parlamentare di furto è
quella delle leggi sulla recinzione delle terre comuni, in altre parole,
i decreti con i quali i padroni garantiscono a se stessi la terra della
gente come proprietà privata, decreti di espropriazione del popolo».
L’imperialismo saccheggia i popoli di altri paesi e li trasforma in
schiavi salariati o schiavi schiavizzati. Inoltre, coloro che erano
abituati a vivere sulle terre comuni, essendo espropriati dalle
recinzioni, sono costretti a diventare compagni del vento e a vendersi
come operai salariati ai padroni delle fabbriche e dei campi. Entrambe
queste tendenze erano familiari a Tommy Spence.
La controversia sulla brughiera della città di Newcastle del 1771
gli aveva insegnato che era possibile intraprendere con successo una
lotta contro le recinzioni. La borghesia aspirava a vendere o ad
affittare 89 acri della terra cittadina. L’amico di Tommy Spence, Thomas
Bewick, aveva ricevuto un’educazione grazie al diritto di pascolo sulle
terre comunali posseduto dalla zia. Così Spence conosceva
personalmente, da Bewick e da molti altri, l’importanza delle terre
comunali. La gente demolì la sede dove venivano stabiliti gli affitti e
le staccionate e disperse il bestiame. Gli abitanti vinsero, e il
diritto al pascolo venne ripristinato per i liberi residenti e le
vedove. Come risultato di questa esperienza Tommy Spence scrisse ed
effettuò la sua famosa lettura alla Società filosofica di Newcastle nel
1775, dove propose l’abolizione della proprietà privata: «il paese di
ogni popolo... è proprio la loro terra comune», egli scrisse. «I primi
proprietari terrieri [erano] usurpatori e tiranni», continuava. Lo sono
ancora. Egli raccomandò di fissare un giorno in cui gli abitanti di ogni
distretto si incontrassero «per riprendere possesso dei loro diritti da
tempo perduti».
Nel giro di pochi anni Spence chiamò questo giorno stabilito
“giubileo”. Il vocabolo girava già per l’Inghilterra, ma fu Spence a
dargli un significato rivoluzionario nell’era del capitalismo
industriale. Nel frattempo, i filosofi liberali di Newcastle lo
espulsero dalla loro Società, non per via delle sue idee o perché le
avesse pubblicate, ma per averle divulgate sotto forma di volantini da
mezzo penny diffusi per le strade e nelle taverne. Questo era ancora più
irritante delle sue stesse idee, perché attaccava le pretenziosità
della Società filosofica che considerava la filosofia una discussione
chiusa. Ciò che rendeva Spence pericoloso per la borghesia non era il
fatto che fosse un proletario o che avesse idee ostili alla proprietà
privata, ma entrambe le cose. Egli portò le sue idee al proletariato di
Newcastle, la cui forza si era già vista nello sciopero generale del
1740, quando fra le altre cose furono assaltate le banche del Paese.
Thomas Spence era favorevole all’insurrezione; egli era un
rivoluzionario che aveva fornito una teoria alle pratiche del
rovesciamento del governo inglese. Di certo, il governo lo pensava; nel
decennio 1790-1800 lo arrestò quattro volte in quanto «elemento
pericoloso» e autore di pubblicazioni sediziose. Malgrado le esperienze
in tribunale e in galera, malgrado gli insulti e le minacce di morte da
parte di membri dell’Associazione per la Conservazione della Libertà e
della Proprietà contro i Repubblicani e i Livellatori, continuò la
diffusione dei propri opuscoli.
La prima generazione di seguaci di Spence era piena di
contraddizioni, a volte atei e a volte devoti, a volte piccoli padroni e
a volte poveri, a volte liberi pensatori e a volte religiosi, ora
ubriachi ed ora sobri, e in questo seguirono il loro maestro che,
malgrado la sua lettura da libero pensatore a Newcastle, era capace di
brandire l’autorità biblica quanto un eminente di Harvard. Essi vissero
in un periodo in cui il furto era praticato in modo massiccio: fra il
1801 e il 1831 vennero sottratti alla popolazione agricola 3.511.770 di
acri di terre comunali.
Thomas Evans nel 1798 era segretario della London corresponding society. Venne imprigionato per tre anni e sedici mesi a Newgate. Dopo la morte di Spence, nel 1813, egli aveva formato la Society of spencean philanthropists
della quale si era autonominato “bibliotecario”. «Ho vissuto abbastanza
da essere testimone delle conseguenze delle recinzioni, e delle tasse;
dell’espulsione di chi viveva nei cottage spigolando nei campi aperti,
avendo diritto alla terra comune, al suo cottage, alla sua casupola; del
furto delle sue poche provviste, del suo maiale, del suo pollame, del
suo combustibile; quindi, della sua riduzione a mendicante, a schiavo».
Maurice Margarot, un giacobino radicale, venne trasportato in Australia nel 1793 a bordo del H. M. S. Surprize con altri ottantatré condannati. Cospirò coi prigionieri irlandesi. Nel 1810 ritornò a Londra. Prima di morire scrisse Proposal for a Grand National Jubilee: Restoring to Every Man his Own and thereby Extinguishing both Want and War.
Egli calcolava che ogni persona in Inghilterra avrebbe potuto disporre
di cinque acri di terra. Vent’anni dopo Allen Davenport calcolò che, se
la terra inglese fosse stata divisa equamente, ogni uomo, donna e
bambino avrebbe potuto disporre di sette acri. Poiché la popolazione era
cresciuta notevolmente in quei venti anni la discrepanza fra le due
stime è difficile da spiegare. Forse Davenport non escludeva l’Irlanda
dai suoi calcoli, o forse Margarot non includeva nei suoi solo i maschi
adulti.
A Londra nel 1804 Allen Davenport, un veterano metodista, ricevette
da un suo compagno calzolaio un opuscolo di Spence: «Lessi il libro, e
divenni velocemente sempre più spenceano. Predicai la dottrina ai miei
compagni di lavoro e a chiunque altro...». In quanto sindacalista (fu
leader nello sciopero dei calzolai nel 1813) e in quanto inveterato
oppositore del sistema legale («Se cogliete un chicco, non violate una
legge? Se vi portate via un granello di sabbia, non commettete un
furto?»), attraversò il ponte spenceano tra giacobinismo radicale del
decennio 1790-1800 e cartismo del decennio 1830-1840, contribuendo così
ad espandere il giubileo dalle lotte agricole a quelle salariali.
Nella terza decade del XIX secolo il giubileo era presente su
entrambi i lati dell’Atlantico, un’idea e una pratica comuni ai
lavoratori sia delle piantagioni che delle fabbriche di cotone. Esso
possedeva leader profetici oltre ad un’esperienza insurrezionale. Nei
decenni che seguirono, la tradizione del giubileo si accrebbe. In
America si concentrò sulla schiavitù e trovò una vittoria nella Guerra
civile. In Inghilterra si concentrò sulla terra e trovò forza fra i
cartisti.
«Pensate che lo stato attuale delle terre comuni nei sobborghi di
Nottingham abbia un effetto sul morale delle popolazioni ivi residenti?»
— chiedeva un investigatore del “Comitato selezionato parlamentare
sulla recinzione delle terre comunali” nel 1844. La risposta illustra le
contraddizioni della borghesia: «Un effetto certamente assai
pregiudizievole... provoca generalmente una grande mancanza di rispetto
nei confronti delle leggi del paese; a titolo di esempio potrei dire
che, quando giunge il giorno in cui le terre diventano comunabili, in
genere il 12 agosto, la popolazione esce fuori, distrugge le
staccionate, abbatte i cancelli e commette un gran numero di atti
illegali che certamente ha il diritto di compiere, in base al diritto
delle terre comuni di cui era titolare».
«Pregiudizievole... mancanza di rispetto... illegali»: eppure la
gente ha un «diritto» di cui è «titolare». Lo scambio è interessante per
un’altra ragione. Perché il 12 agosto? Nel 1839 la Convenzione
nazionale cartista aveva accettato il 12 agosto come giorno di festa per
iniziare uno sciopero generale. Sembra quindi che i comunalisti di
Nottingham, osservando il 12 agosto come giorno di livellamento,
stessero agendo in conformità coi cartisti nazionali. William Benbow,
autore di The Grand National Holiday and Congress of the Productive Classes
(1831), aveva consigliato il 12 agosto. «Quando si propone una grande
festa nazionale, una festività, non bisogna lasciar pensare ai nostri
lettori che si tratti di una proposta nuova. Era una consuetudine fra
gli ebrei». Benbow si riferisce al Giubileo. Egli chiedeva una festa
lunga un mese per tenere un congresso delle classi produttrici, un mese
di discussione universale in ogni città, villaggio, paese, distretto.
Il progetto venne approvato dalla stampa cartista. The Glasgow Agitator reclamava la nazionalizzazione della terra. George Petrie in Man chiedeva l’abolizione della proprietà privata, una «desolante, barbara e innaturale istituzione». Doherty in The Poor Man’s Advocate si batté con fervore per il progetto e per la cancellazione del debito nazionale.
Il giubileo non morì del tutto nella seconda metà del XIX secolo,
sebbene avesse cessato d’essere la conchiglia della rivoluzione. Michael
Davitt della Lega della terra irlandese lo usò nella lotta contro il
dominio imperiale britannico. «L’irlandese, bandito da pecore e buoi,
riappare dall’altro lato dell’oceano come feniano, a viso aperto con la
vecchia regina dei mari» — scriveva Marks, e avrebbe potuto aggiungere
che l’irlandese aveva scagliato il giubileo in faccia alla pietà inglese
nella persona di Edward McGlynn, il prete di S. Stefano a Manhattan e
alleato dei Knights of Labor, il quale durante il sermone nel
giorno di San Patrizio del 1887 aveva paragonato le antiche leggi
irlandesi bretoni al Giubileo, e come risultato venne scomunicato. Henry
George spesso ne invocò l’idea e sostenne che il giubileo era
«assolutamente fatale all’idea di proprietà privata della terra». Nel
notare che Charles Marks era influenzato da alcuni cartisti seguaci di
Spence, o che il pomposo e sciovinista H. M. Hyndman aveva paragonato Il manifesto comunista al giubileo di Spence, cadiamo nell’archeologia.
Il giubileo ha espresso la liberazione dall’imperialismo nel XIII
secolo a. C. Si era opposto alla schiavitù, alla proprietà, al
credito-e-debito, all’etica del lavoro, all’inquinamento della terra, e
aveva raccomandato la rivoluzione ogni cinquant’anni. Per diverse
migliaia di anni il suo significato è stato distorto o ignorato. Con
l’avvento del capitalismo industriale la reclusa classe lavoratrice
dell’Inghilterra e quella schiavizzata afroamericana riscoprirono il
giubileo. Lo adottarono come sinonimo di libertà e anticapitalismo; ne
estesero il significato e gli diedero incisività.
Allo stesso tempo, la borghesia — giacché il giubileo non poteva
esser negato — sviluppò un’ermeneutica che sottraeva il giubileo al suo
splendore liberatorio trasformandolo in «linguaggio figurativo». Il
linguaggio dell’azione diventò un linguaggio d’ornamento, una retorica,
un’allegoria, «solo parole». Da un lato ciò permise dei progressi nella
critica testuale e filologica, ma dall’altro lato aprì la porta alla
pedanteria e al cinismo, estraendo il dente rivoluzionario dalla bocca
biblica. Fondamentalmente si tratta di un argomento reazionario, se non
blasfemo.
Il “grande criticismo” dell’ermeneutica borghese del XIX secolo ha
trasformato la parola viva nella mano morta del passato. La sua
interpretazione del giubileo è nel migliore dei casi riformista, nel
peggiore reazionaria. Laddove il giubileo si oppone al lavoro, sostiene
che si trattava di un ideale impossibile, se non immorale. L’aspetto
ecologico, come la dottrina dei sabbatari, viene ignorato o ridotto ad
un arretramento delle condizioni tecnologiche. La liberazione
rivoluzionaria dalla schiavitù è assente o ridotta ad un’arcaica, quando
non barbarica, estensione del dovere della vendetta sanguinaria fra
clan feudali. La restituzione della terra e la cancellazione dei debiti
sono considerate del tutto utopiche o poco pratiche, o al limite vengono
consentite come una sorta di compromesso attuato molto tempo fa per
alleviare la transizione verso una “civiltà” agricola!
Il Giubileo viene usato dalla borghesia in occasioni istituzionali.
Sulla Campana della Libertà di Filadelfia del 1776 è incisa una frase
tratta dal Levitico 25 — «You shall proclaim liberty throughout the land».
Ma ha un suono patetico. Perché? Perché è rotta. Si è rotta, secondo la
tradizione afroamericana, quando Abramo Lincoln firmò il suo Proclama
di emancipazione.
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