Mat Hanon, redattore di Wired, ha effettuato un esperimento su Facebook: per 48 ore di fila non ha fatto altro che mettere Mi Piace a qualunque contenuto. Scopriamo com’è andata
Immaginate di collegarvi a Facebook e di
apprezzare, senza sosta e senza alcuna logica, qualunque post, foto,
video e articolo che vi si para dinnanzi agli occhi nel News Feed. Nella
redazione di Wired è stato provato, e i risultati sono stati
interessanti.
Tutto è stato meritevole di un Mi Piace, tranne un singolo status in cui un amico di Mat Hanon
aveva accennato alla morte di un caro e, per rispetto, l’esperimento ha
subito un’eccezione. Avete presente il disagio che si prova in quei
casi, giusto? Un utente pubblica uno status triste, le persone mettono
Mi Piace e l’utente non capisce se il like sia rivolto al godimento nel
vedere l’utente triste o a una sorta di empatia digitale verso quanto
scritto nello status. Per ovviare a queste incomprensioni, il redattore
di Wired ha preferito fare una piccola deviazione. Per il resto, ogni
contenuto, anche quello più odiato, insensato, sdolcinato è stato
meritevole di un apprezzamento digitale. E per
completezza dell’informazione, ogni qual volta veniva messo un Mi Piace
ad un articolo, e Facebook suggeriva ad Hanon 4 articoli correlati,
anche questi primi 4 articoli correlati ricevevano un like.
L’idea di fondo di Hanon era vedere come avrebbe reagito l’EdgeRank,
l’algoritmo di Facebook che regola la rilevanza e il peso dei singoli
contenuti e che decide, su base informatica, quali post mostrare
all’utente e quali gettare nell’oblio digitale.
FACEBOOK PUNTA DI PIÙ SUL TRAFFICO DA MOBILE - A 24 ore di distanza, Mat ha subito preso atto di un cambiamento enorme: nel connettersi a Facebook da dispositivo mobile, i contenuti umani erano completamente scomparsi
dal suo News Feed. Erano rimasti solo brand e post promozionali. Nel
connettersi da dispositivo fisso, invece, stante la preminenza dei
contenuti aziendali rispetto a quelli umani, erano sopravvissuti alcuni
status degli amici.
Questo ha confermato al redattore di
Wired quella che, tra gli addetti ai lavori, era una piccola grande
verità già appurata: Facebook reputa la navigazione da mobile economicamente più fruttuosa
e, per questo, rispetto a quella da laptop, manipola il proprio
algoritmo a tutto favore dell’advertising. Il News Feed di Hanon,
sovrastimolato con un dose massiccia di Mi Piace, ha avuto l’innesco
finale per gettare nell’oblio totale foto di vacanze e profondi status
degli amici. Semplicemente perché, a conti fatti, questi non fanno
guadagnare.
Per quanto strano possa sembrare ai meno
esperti, no, il News Feed che compare sul vostro cellulare non è lo
stesso che compare sul portatile.
BARRICARSI NELLE PROPRIE CONVINZIONI
– La seconda presa di coscienza di Hanon è stata che, nell’aver
casualmente apprezzato molti contenuti ideologicamente attinenti
all’area di destra, conservatrice e xenofoba, Facebook aveva iniziato a
rispondere promuovendo pagine e contenuti simili. Il redattore di Wired
ha sperimentato sulla propria pelle la cosiddetta logica del Daily Me
teorizzata da Cass Sunstein, ovvero quel meccanismo digitale perverso
per cui l’utente finisce per essere circondato dall’eco assordante delle
proprie convinzioni, creando idealmente un proprio giornale in cui non si apre mai ad altri punti di vista.
Lo sperimentatore, che ha portato il suo News Feed ad un punto massimo
di estremismo, ha descritto questa parte con un certo disagio:
We set up our political and social filter bubbles and they reinforce themselves—the things we read and watch have become hyper-niche and cater to our specific interests.
Il News Feed di Hanon non ha fatto altro
che rimpolpare – in linea puramente teorica, essendo solo un
esperimento – le convinzioni palesate dall’utente a colpi di Mi Piace.
Nella “testa” dell’EdgeRank, come in quella di tutti gli algoritmi che
governano i contenuti dei colossi informatici, c’è l’idea che nell’era della personalizzazione perfetta
l’utente voglia solo leggere quel che già concerne alla sua area
comportamentale e ideologica. Amazon vi suggerirà libri a partire dai
comportamenti d’acquisto precedenti, Facebook vi suggerità contenuti a
partire dalle vostre interazioni passate.
L’effetto perverso lo potete immaginare
facilmente: l’utente si trincera dinnanzi alle sue credenze e, come in
un guscio ermetico, non riesce a venire a conoscenza di altre opinioni –
che è poi la vera essenza del concetto stesso di pluralismo informativo
e di opinione pubblica, il confronto tra punti di vista diversi.
Facebook appaga alla perfezione questo Daily Me, visto che il News Feed appare agli occhi dei più come un giornale su misura,
più che un semplice aggregatore di contenuti. E nel giornale
personalizzato l’utente si sente a casa, ideologicamente al sicuro,
semplicemente perché i punti di vista opposti sono banditi e l’algoritmo
implementa il proprio credo, senza mai metterlo in discussione.
It reminded me of what can go wrong in society, and why we now often talk at each other instead of to each other.
Quindi, la prossima volta che in Tv
sentirete esimi guru digitali narrare le mirabolanti gesta dei social
network nei confronti dell’aumento dell’informazione, ricordatevi della
piccola lezione tratta da questo esperimento su Facebook. Solo perché la
creatura di Mark Zuckerberg propone più contenuti – di numero -, non
vuol dire che informi di più giovani e adulti, visto che l’informazione
esprime un concetto di qualità prima che di quantità. Anzi, è molto
probabile che Facebook sedimenti idee precostituite alimentando
il cameratismo tra utenti che la pensano allo stesso modo e l’odio nei
confronti di coloro che non appartengono alla camerata.
D’altronde, in un mondo digitale in cui abbiamo deciso di dare le chiavi
del cancello agli algoritmi, dobbiamo ammettere che i gatekeeper
dell’informazione non siamo più né noi né i giornalisti, bensì chi ci
dice, quotidianamente, cosa leggere e cosa non leggere.
fonte:
http://dailystorm.it
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